Entrando in banca vi sarà capitato di essere apostrofati da una guardia che sorride dietro a un monitor. Si chiama vigilanza virtuale. Spesso sono messaggi preregistrati, talvolta sono guardie in carne ed ossa, magari dislocate a 600 km di distanza dalla filiale.
In ogni caso il loro costo è inferiore al turno di un piantone.
Vi sono diverse forme di “virtualizzazione della guardia”, da quelle meno spinte tecnologicamente a quelle più evolute. Nessuno discute sul valore aggiunto e sull’affidabilità di queste soluzioni, né sulla validità del processo di virtualizzazione in atto; la domanda è se l’elettronica soppianterà l’uomo.
Da studiosa di videosorveglianza (ognuno ha le sue piccole perversioni ), posso affermare con certezza che neppure la più evoluta delle tecnologie potrà mai sostituire il cervello umano. L’analisi intelligente delle immagini può rendere più performante, più efficiente e rapida l’attività di monitoraggio, ma non può sostituire la guardia giurata né prendere decisioni in sua vece.
La questione va quindi considerata esclusivamente sul piano economico. E i conti si fanno in fretta.
Sul fronte Istituti di Vigilanza, mentre il costo uomo è incomprimibile, sulle tecnologie si possono fare economie di scala importanti – ergo vincere appalti di rilievo come quelli bancari.
Sul fronte banche, l’investimento in sicurezza elettronica ricade nel bilancio pluriennale e può essere oggetto di benefici fiscali ed ammortamenti a seconda dell’anno e degli utili prodotti.
E’ quindi ovvio che gli Istituti di Credito scelgano la tecnologia, come dimostrava già il rapporto sulla Sicurezza Anticrimine nelle banche italiane redatto dall’Ossif nel 2011.
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Lì la vigilanza si collocava solo al 9° posto nella hit delle misure di sicurezza più adottate dalle banche, con un 14,1% di adozione (contro il 90,5% dell’allarme antirapina; l’88,5% della videoregistrazione; il 74,2% della custodia valori ad apertura ritardata; il 55,9% delle bussole; il 53,3% dei Metal detector; il 29,0% delle protezioni perimetrali, il 22,6% dei sistemi di cash in/cash out e il 18,3% della videosorveglianza).
Secondo il rapporto Ossif 2011, dei 731 milioni di euro spesi nel 2009 dalle banche per la sicurezza, ben il 56% era destinato ai servizi (trattamento dei valori 16% e Vigilanza 40%). In sostanza, la strategia antirapina delle banche si basava su un mix di difese, suddiviso in un 47,4% di impianti e un 46,1% di Vigilanza.
Insomma, la vigilanza – quando c’è – gioca ancora un ruolo importante.
Certo costa, ma forse vale la pena. Sembra suggerircelo lo stesso Ossif quando indica che le rapine sono nettamente calate nel 2010 (-18,7%) nel periodo in cui si è utilizzato questo mix uomo-tecnologie.
Il trend è confermato, anzi accentuato, nel 2011, dove – secondo il rapporto Ossif 2012 – le rapine sono calate del 22%, con investimenti in sicurezza di oltre 750 milioni di euro.
E di norma, squadra che vince non si cambia.
Tuttavia “in un articolo del Sole 24Ore dedicato al rapporto Ossif, il calo delle rapine viene ascritto a generici investimenti in sicurezza, ad un maggiore scambio di informazioni, alle sinergie messe in campo con le forze dell’ordine, alla preparazione dei dipendenti. Nemmeno una parola sulla vigilanza privata, dove gli operatori, peraltro, ci rimettono la vita” – rileva Luigi Gabriele, Presidente di Federsicurezza.
Sia beninteso, nessuno vuol mettere un freno al processo evolutivo in atto, ma non dimentichiamo il valore deterrente portato da una guardia viva ed armata, rispetto ad una sorridente stringa di bit su un monitor. E pensiamo anche al costo sociale che deriverebbe dal mettere a spasso tanti lavoratori della vigilanza. Perché – spiace rammentarlo – la virtualizzazione della sicurezza porta con sé anche pesanti riduzioni dell’organico.