Più uno stato è corrotto e più emana leggi per confondere le acque. Lo diceva Tacito ed è drammaticamente vero ora, quando l’iperfetazione di norme che regolano gli appalti presta il fianco a corruttele e negligenze. Ben venga dunque una riforma che condensi e metta ordine in un campo che tocca molto da vicino la vigilanza privata. Durante il convegno Federsicurezza dello scorso 9 settembre, il Consigliere ANAC, Dr. Michele Corradino, ha fornito molti validi spunti. Li riprendiamo, per dare seguito al dibattito su www.vigilanzaprivataonline.com.
Corradino ha innanzitutto posto l’accento sulla portata rivoluzionaria delle direttive comunitarie in materia di appalti, il cui recepimento potrebbe finalmente invertire la mentalità industriale del nostro paese. “L’Europa ci chiede di immaginare una politica degli appalti che veda nelle gare un volàno per lo sviluppo economico del paese, e non più un freno in ossequio al triste principio, che non di rado ha regolato il nostro sistema, degli appalti al servizio della politica”.
Per puntare a questo obiettivo, occorre immaginare in primo luogo di operare in un quadro istituzionale chiaro e certo, che dica con fermezza alle imprese cosa esse devono, possono e non possono fare. In questo senso esistono dei parametri importanti da rispettare.
1) Il primo è quello della stabilità normativa. Ebbene, in Italia la normativa degli appalti è stata modificata ben 223 volte in 8 anni! Questo ha generato profonda confusione negli imprenditori, ma anche nei funzionari delle amministrazioni e dello stesso apparato giudicante.
2) Poi è essenziale una riduzione dell’impianto normativo: ad oggi circa 1000 norme nazionali parlano di appalti; ad esse si aggiunge un numero di norme regionali talmente esorbitante che si rende anche difficile censirle. E “dietro questa opacità normativa, dove il funzionario diventa l’arbitro del procedimento, si può agevolmente nascondere il personaggio disonesto, corrotto o anche solo incapace”. Per questo l’Europa ha elevato il divieto – invero non sconosciuto al nostro ordinamento – di goldplating, cioè di arricchire il livello normativo richiesto dalle direttive comunitarie con la pretesa di ulteriori orpelli burocratici a carico delle imprese.
3) Naturalmente, nell’applicazione di questi principi occorre comunque tener conto delle specificità italiane (criminalità, corruzione etc): per non abdicare alle singole PA il lavoro normativo che spetta allo stato centrale, se si vuole evitare che ogni amministrazione si crei i suoi criteri di bando, l’idea è quella di rafforzare il ruolo normativo dell’ANAC.
Ci si riferisce qui all’emanazione di strumenti di soft law come i bandi-tipo e le linee-guida, che interpretano le norme legislative e regolamentari limitando la discrezionalità di chi è chiamato ad operare. Questa soft regulation tiene peraltro pesantemente conto delle esigenze degli operatori (come è accaduto con le linee guida che sono state emanate per la vigilanza privata).
Ma – c’è un pesante ma – attualmente le linee guida e i provvedimenti ANAC non sono vincolanti. La speranza è che da marzo 2016, se la norma entrerà in vigore, questa soft regulation possa diventare vincolante per i suoi destinatari, a partire quindi dalle stazioni appaltanti pubbliche.
4) Un altro punto propedeutico ad ogni evoluzione in materia di appalti è la necessità di professionalizzare le PA. Perché le amministrazioni italiane commettono così tanti errori da meritare la più alta percentuale in Europa di censura da parte dei tribunali amministrativi? Una prima risposta è data dal fatto che in Italia abbiamo oltre 36.000 stazioni appaltanti che interpretano la normativa, scrivono e bandiscono gare. Il primo passo per professionalizzare le stazioni appaltanti è quindi quello di ridurle di numero e di qualificarle internamente.
Per bandire gare d’appalto, la dirigenza dovrà quindi essere formata e certificata con un “patentino” che dimostri la sua conoscenza della normativa, e sarà l’ANAC a tenere un albo di commissari tra i quali sorteggiare i componenti delle commissioni giudicatrici. Questo eviterebbe che i commissari fossero scelti dalle amministrazioni (ergo: che fossero a libro paga delle aziende).
5) La riforma prevede poi la centralità del progetto redatto dalla stazione appaltante, tema di interesse anche per il mondo dei servizi. La progettazione è infatti diventata parte integrante della valutazione anche dei servizi di vigilanza perché è uno dei metodi di valutazione dell’offerta tecnica: ciò però presuppone professionalità e responsabilizzazione della stazione appaltante.
Ma al contempo permette di realizzare lavori in tempi più certi, e con minori scostamenti economici rispetto all’elaborato originario.
Questo in linea generale. Veniamo ora alle linee guida per il settore vigilanza privata, di cui abbiamo già parlato diffusamente. I punti più rilevanti, che hanno peraltro ampiamente accolto le istanze del settore, dovevano però per forza essere calati nella normativa europea, dalla quale non si può ovviamente derogare. Ecco perché forse qualcuno non è rimasto del tutto soddisfatto.
Ma partiamo dagli elementi di soddisfazione.
ANAC indica ora con la massima chiarezza alle stazioni appaltanti che non è più possibile una commistione tra servizi di vigilanza e servizi di portierato: i bandi almeno devono prevedere dei lotti separati per i due tipi di servizi e l’autorizzazione diventa requisito essenziale per i servizi di vigilanza. Ancora, ANAC sostiene il divieto di bando sulle agenzie d’affari, o network ex art 115 del TULP perché “si tratterebbe di una delega di funzioni pubblicistiche”.
Ancora soddisfazione per la scelta del criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa: “le gare al ribasso non arginano i fenomeni corruttivi e nemmeno fanno risparmiare le PA perché – quanto meno nei lavori pubblici – i ribassi vengono invariabilmente recuperati con le immancabili varianti, che nel 90% dei casi sono esattamente identiche nell’importo allo stesso ribasso d’asta”. Le coincidenze della vita.
Minore soddisfazione, invece, del settore vigilanza per i casi in cui le gare potranno tuttora essere emanate al ribasso: si parla, nella vigilanza, di “servizi altamente standardizzati per le loro caratteristiche o per la loro stringente regolamentazione”. Il concetto è invero un po’ vago, ma l’ANAC si è mostrata disponibile a rispondere ad eventuali pareri per specificare ulteriormente di quali servizi si tratti.
Per evitare infine che si giochi sull’equivoco, l’ANAC chiede che vengano definite precisamente le condizioni tecniche, perché “se non è chiaro cosa vuole la stazione appaltante, giocare sul ribasso è molto facile”.
Un ulteriore elemento di trasparenza è che, nella valutazione dell’offerta tecnica economicamente più vantaggiosa, la stazione appaltante si deve soffermare anche sugli investimenti e cioè su elementi quali formazione, organizzazione, progettualità e tecnologia. Non più dunque sul solo numero di guardie impiegate, per evitare che le gare diventino mero appannaggio dei big del settore.
La vera nota dolente per il comparto vigilanza è però il tema delle verifiche di congruità sulle offerte anormalmente basse. Posto che per valutare l’anomalia non è possibile prevedere un utile minimo, come qualceno chiedeva (“l’Europa non ce lo consente sennò la gara sarebbe alterata in partenza”), è però possibile prevedere l’utile minimo come parametro – o meglio come possibile sintomo – di un’anomalia. Che però dev’essere indagata. Stesso discorso vale per le tabelle ministeriali che indicano il costo minimo del lavoro: queste ultime non possono essere considerate come un parametro inderogabile, ma solo come elemento sintomatico di una potenziale anomalia nell’offerta. In caso di mancato rispetto delle tabelle, starà all’appaltatore dimostrare in che modo egli possa comunque fornire dei servizi di qualità.
La clausola sociale si potrà infine considerare valida solo nei limiti del dimensionamento d’impresa. Quindi se l’impresa subentrante è in grado di offrire servizi alla stessa qualità dell’impresa uscente ma con meno uomini, perché magari è tecnologicamente più evoluta o meglio organizzata, allora non sarà costretta ad assorbire l’intero personale. Ma dovrà dimostrarlo. Vabbè.
Insomma, alcuni punti non sono stati perfettamente accolti (ma l’Europa, il Consiglio di Stato e varie altre autorità li negano da sempre): in compenso l’ANAC ha cercato di “stiracchiare la norma al massimo” per accontentare il settore. Ed è anche aperta ad ulteriori aggiustamenti. Stay tuned!