Network sì, network no, network NI.
La materia dell’intermediazione nella sicurezza privata sta per essere oggetto di una profonda revisione normativa. Revisione che piace molto a quanti nella vigilanza privata hanno subito una concorrenza non sempre limpida da parte di queste entità, ma che piace assai meno a quanti attualmente operano come agenzie ex art. 115 del TULPS. Che non sono in verità tantissimi, anche se una mappatura specifica non è mai stata fatta, ma che ci tengono a distinguere tra network “puri” (ossia che svolgono solo attività di intermediazione) e network “spuri” (cioè che svolgono anche direttamente i servizi di sicurezza). Noi abbiamo sottoposto la questione direttamente all’On. Isabella Bertolini, firmataria delle proposta di legge sulla sicurezza privata.
Onorevole Bertolini, quali potrebbero essere l’iter e le tempistiche della proposta di legge sulla sicurezza privata di cui lei è firmataria?
Attualmente in Commissione Affari Costituzionali stiamo lavorando sui temi sospesi prima della pausa estiva. La proposta di legge sulla Vigilanza Privata, che porta la mia firma, è stata assegnata alla Commissione, ma ancora non è iniziato l’iter della discussione. C’è però la volontà sia del Governo, che delle forze politiche di maggioranza di iniziarne al più presto la discussione. Ritengo, pertanto, che potremmo dare il via ai lavori entro il mese di novembre.
La sua proposta vieta alle agenzie d’affari ex art. 115 del TULPS di stipulare contratti che abbiano “ad oggetto diretto” i servizi di vigilanza o che subappaltino tali servizi agli Istituti di Vigilanza. Quindi, a quanto capiamo, non si vieta un’attività di pura intermediazione (cioè di presa di contatto tra due parti contraenti), ma la sottoscrizione diretta di contratti per attività di sicurezza privata da parte di soggetti che sono privi di licenza ex art. 134 TULPS. E’ così?
Voglio chiarire che la proposta di legge di cui sono firmataria non cancella le società di intermediazione, né impedisce alle stesse di svolgere attività di mediazione. Stabilisce, invece, che l’acquisizione e l’affidamento di contratti in materia di vigilanza o custodia di proprietà mobiliari e immobiliari sia riservata ai titolari della licenza prefettizia previsti dall’articolo 134 del Tulps. Questo per garantire una migliore qualità organizzativa e operativa dei servizi di vigilanza e rendere effettivo il controllo statale sui soggetti che svolgono questi servizi.
La sua proposta consente però agli Istituti di Vigilanza di “affidare le relative attività a enti o a privati titolari della stessa licenza, nel limite massimo del 50% dei contratti stipulati con un singolo committente”. Il subappalto viene quindi mantenuto tra soggetti con licenza ex art. 134, benché circoscritto entro un tetto massimo. A cosa serve questa limitazione?
Di fatto la proposta non introduce il subappalto, che già era contemplato e di cui spesso si è fatto abuso, ma si limita a regolamentarlo, stabilendo che la porzione di lavoro affidato in subappalto non possa superare il 50% dell’intero incarico. Ciò comporta per le due imprese di vigilanza interessate la necessità di individuare con precisione la ripartizione dei servizi da svolgere. Questo serve a garantire la qualità del servizio.
In redazione sono giunte alcune osservazioni, di cui ci facciamo in questa sede portavoce. La prima è che la pietra dello scandalo non sta nell’attività dei c.d. network in sé, ma nella pratica del sottocosto che si è ingenerata attraverso l’uso distorto dell’intermediazione. Mentre infatti gli Istituti di Vigilanza sono (rectius: dovrebbero essere) vincolati a dei minimi inelubili di costo, i network non lo sono. Da qui la pratica di far concludere contratti dai network per aggirare i minimi tariffari. Se quindi la responsabilità è delle imprese di vigilanza (dai cui portafogli nascono peraltro i maggiori network), perché fare piazza pulita anche dei network “puri”?
In passato gli Istituti di vigilanza privata hanno fatto ricorso ai network, tanto che alcuni sono stati costituiti dagli stessi Istituti di vigilanza, ma con l’abolizione dei limiti provinciali per le licenze e la possibilità per gli istituti di muoversi su tutto il territorio nazionale si rende, di fatto, inutile il ricorso ai network da parte degli stessi. Pertanto il problema non è distinguere la tipologia dei network, ma prendere atto che la riforma organica del settore ha voluto ridisegnare il sistema della vigilanza privata. La stessa riforma consente agli istituti di vigilanza di individuare nuove forme organizzative per mettere in comune risorse, strutture e professionalità per rispondere alle esigenze dell’utenza ed offrire servizi mirati.
In redazione sono giunte anche delle proposte alternative per salvare i network: dall’introduzione di una corresponsabilità del cliente nell’acquisto dei servizi sottocosto, alla modifica all’iter di rilascio della licenza ex art. 115 (nel solo settore sicurezza) che porti a verifiche analoghe a quelle operate dalle Prefetture per gli Istituti ex art. 134, con l’obiettivo finale di assoggettare anche i network agli stessi minimi di costo. Cosa ne pensa?
Con la riforma del sistema sicurezza privata così concepita si può fare a meno dei network, perché si punta sulla qualità del servizio e sulla tutela del lavoro delle guardie giurate, cercando di superare le patologie del sistema all’interno del libero mercato. Ciò che fa la differenza e che rende l’istituto di vigilanza competitivo sono le capacità imprenditoriali, di gestione e di organizzazione in rapporto alle richieste dell’utenza.