Non solo le persone, ma anche le società possono delinquere. Il Decreto Legislativo n. 231/2001 ha infatti introdotto una responsabilità diretta in capo alle imprese per alcuni reati commessi da singoli nell’interesse o a vantaggio dell’impresa.
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Società ed enti possono quindi ora essere direttamente chiamate a rispondere dei reati commessi nel loro interesse da dirigenti, dipendenti e coloro che operano in nome e per conto loro. Una norma di particolare interesse per la vigilanza privata, che spesso non brilla per onestà degli imprenditori e delle guardie giurate. Norma che ritorna di prepotente attualità dopo il recente arricchimento di nuove fattispecie di reato contestatibili.
Il Dlgs. introduce la cultura dei controlli interni come strumento di prevenzione dei reati, prevedendo delle pesanti sanzioni in capo alle aziende, tra cui interdizione dall’attività, commissariamento e divieto a contrarre con la PA. Ma c’è una scappatoia: l’ente non risponde se dimostra di avere “adottato ed efficacemente attuato” un modello organizzativo idoneo a prevenire la commissione di reati. La previsione di un modello conforme non è quindi obbligatoria, ma può rivelarsi un utile strumento difensivo in caso di futura contestazione di reati. Il Dgls. 231/01 ha affidato alle associazioni di categoria il compito di redigere dei codici di comportamento cui gli associati possano ispirarsi per redigere tali modelli. Un ruolo impegnativo, considerato che nel tempo si è molto ampliato il numero dei reati “tipici”, che contemplano ora anche ricettazione, riciclaggio e criminalità informatica. Per la vigilanza privata, l’ultimo Quaderno di Federsicurezza del 2010 analizza il nuovo impianto normativo e suggerisce un modello di best pratice capace non solo di evitare le sanzioni previste dalla legge, ma anche di migliorare organizzazione, amministrazione, controllo e quindi immagine societaria.
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Il prossimo numero sarà dedicato ad un’approfondita analisi del DM sulla capacità tecnica.
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