Guardie giurate in congedo: storia di una categoria

31 Mag 2011

di Ilaria Garaffoni

Monumento-caduti-guardie-giurate

PIACENZA – Si è tenuto a Piacenza l’annuale raduno delle ex guardie giurate, un momento aggregativo di grande commozione, nato dall’iniziativa di alcune ex GPG che hanno amato e difeso il proprio mestiere con le unghie e con i denti, nella convinzione di svolgere un lavoro che non si conclude con la riconsegna della divisa, ma che prosegue nella difesa di alcuni importanti valori a favore della collettività.
Ne parliamo con il Presidente dell’associazione Guardie Giurate in Congedo, Giordano Lacasella.

Com’è nata la vostra associazione e con quale scopo?

L’associazione Guardie Giurate in Congedo è nata alla fine del 2003 per volontà di alcune Guardie Particolari Giurate che avevano cessato l’attività per cambiare mestiere o per raggiungimento dell’età pensionabile. Lo scopo primario era quello di tenere in contatto, con qualsiasi forma di aggregazione, le ex Guardie Particolari Giurate con chi è ora in servizio e di tener vivo il ricordo di un mestiere che, nonostante i problemi, tutti noi amiamo e ci ostiniamo a difendere. L’Associazione Guardie Giurate in congedo si prefigge anche di ricordare, con manifestazioni e ricorrenze, le Guardie che hanno perso la vita nell’adempiere le loro funzioni. Nel tempo la nostra associazione è diventata anche un punto di riferimento informativo per le GPG, soprattutto sull’interpretazione di norme legislative e contrattuali.

Ogni anno le guardie giurate in congedo si ritrovano a Piacenza: che significato ha questo evento?

Il raduno di Piacenza è un atto aggregativo, un momento di amicizia e condivisione, anche una celebrazione della consapevolezza di aver svolto un lavoro che non finisce con la semplice riconsegna della divisa. L’Istituto di Vigilanza  privata non è una fabbrica, dove i momenti di condivisione sono molteplici: le GPG lavorano quasi sempre in luoghi diversi e spesso non ci si conosce nemmeno tra colleghi. L’Associazione tenta di colmare questa lacuna organizzando dei  momenti di ritrovo. Il 1° raduno che l’Associazione ha organizzato nel 2004, a Piacenza, è nato per riprendere un’iniziativa che io e alcuni colleghi di quella città avevamo iniziato nel 1993. L’idea, abbandonata per alcuni anni, è stata ripresa dalla neocostituita Associazione Guardie Giurate in Congedo, la cui prima iniziativa fu quella di ricordare i caduti. Si scelse Piacenza perché in quella città esisteva – esiste tuttora – il primo monumento eretto in Italia in memoria delle GPG cadute in servizio (in foto, nella sua versione attuale).

Spesso dalla base si invoca una qualifica di pubblico ufficiale per le guardie giurate: è d’accordo? Perché la qualifica di incaricato di pubblico servizio non basta?

Credo che a molti non sia chiara la differenza fra Pubblico Ufficiale e Incaricato di Pubblico Servizio; del resto la stessa giurisprudenza ha dato pareri contrastanti, contribuendo ad alimentare questa confusione.
A mio avviso, la qualifica di incaricato di pubblico servizio può essere adatta per i compiti che svolgono le gpg, anche perché l’incaricato di pubblico servizio ha meno incombenze del pubblico ufficiale e nel caso subisca minaccia, violenza o resistenza, l’aggressore viene punito dal codice penale come se il reato fosse commesso ai danni di un Pubblico Ufficiale.

Le cronache denunciano un forte tasso di incidentalità nel mondo delle guardie giurate causato da un uso dell’arma negligente o comunque pericoloso per sé e per gli altri. Da cosa dipende? Alti livelli di stress intrinseci alla tipologia di lavoro? Scarsa formazione da parte degli IVP? Selezioni superficiali da parte degli uffici del personale? Turni massacranti?

Tutti questi fattori contribuiscono all’incidentalità. A mio parere la superficialità con la quale le GPG vengono assunte è però uno dei fattori determinanti. Mettere in servizio personale inidoneo, poco motivato, che non ha senso del dovere e che non comprende che si tratta di un lavoro al servizio della collettività, significa in un certo senso legittimarlo a lavorare non per senso di giustizia, ma solo per portare a casa uno stipendio.
Chi lavora solo per portare a casa la pagnotta accetta turni massacranti, accumula stress e stanchezza fisica e morale, con tutto quel che segue…

 

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