Quanto vale la certificazione nella vigilanza privata?

09 Feb 2021

di Andrea Ambrosino

“La certificazione costa troppo, non porta nulla, è l’ennesimo balzello ai danni della vigilanza privata, genera concorrenza sleale tra chi si adegua o no, bla bla bla”. E se invece dicessimo che oggi è la committenza – quella con capacità di spesa – a chiedere la qualità? Se dicessimo che in un’importante gara sono stati messi sul piatto 17 golosi punti per 5 certificazioni non obbligatorie? Potremmo affermare che certificare azienda e persone comincia a fare la differenza tra lavorare o non lavorare in questo mercato? E potremmo forse arrivare a chiederci non più quanto costa, ma piuttosto quanto vale la certificazione? E già che ci siamo, potremmo ricordare a noi stessi che la certificazione di qualità non è che lo sbocco finale di un percorso di formazione e crescita di qualità? Ce ne parla l’amico Andrea Ambrosino, Presidente di Vale srl, leader nella formazione e consulenza per il settore vigilanza privata.

Quanto Vale la certificazione?

Andrea Ambrosino

Quella delle certificazioni e della vigilanza privata è una storia vecchia, che quasi stanca. Non è un caso se, dopo aver letto un articolo di pochi giorni fa, mi accingo a scrivere questa riflessione approfittando del fatto che mio figlio è incantato dietro a “Il Ritorno dello Jedi” e mia figlia dorme.

Da professionista che spesso si trova a ricoprire il ruolo di Responsabile della Qualità per gli istituti di vigilanza, non posso non evidenziare un trend che negli ultimi mesi si sta imponendo sempre più: ormai è il committente a chiedere fornitori certificati, tanto da passare da una logica “o dentro o fuori” (se li hai lavori, se non li hai non lavori), ad una logica di “premialità”.

Proprio questa settimana ho svolto diverse riunioni con gli uffici gare degli istituti che a vario titolo seguo, per fare un punto di cosa viene chiesto dalle committenti (e cosa ovviamente abbiamo…). Ai lettori più attenti non passerà inosservato che al momento è in corso una gara che assegna un massimale di 17 punti suddivisi fra quattro certificazioni per l’istituto e una del personale.

Sono elementi e segnali che devono portare ad un deciso cambio di passo per gli istituti che vogliano restare (o imporsi) nel mercato.

Fino a qualche anno fa la narrazione prevalente poneva l’accento sugli aspetti più nobili dei sistemi di gestione, un train che spesso nel mondo dei servizi rischiava però di essere schiacciato dalla gestione quotidiana (la classica burocrazia dei moduli) e dalle spese di mantenimento dei sistemi stessi.

Poi piano piano ha cominciato a farsi strada l’idea che l’adozione di nuovi sistemi di gestione poteva avere con sé più vantaggi che svantaggi: pensiamo alla UNI EN ISO 45001 (già OHSAS 18001), che di fatto ha avuto un boom sia per motivi di tutela per imprenditori e lavoratori legati al D.Lgs 81/08 e SMI, sia per l’annuale pratica dell’OT 23 (già OT 24) per la riduzione del premio INAIL.

Oggi siamo ad un’altra fase. Da mesi assistiamo ad un salto nelle relazioni Azienda – Certificazioni – Legge – Commesse: è il sistema stesso che di fatto esorta gli istituti a certificarsi riconoscendo loro dei criteri oggettivi che vanno ben al di là della mera “offerta economicamente vantaggiosa” (per le gare) e del “guarda che è un investimento” (per le ISO). Se per un singolo lotto di una gara vengono messi sul piatto ben 17 punti per le certificazioni “non obbligatorie”, bisogna evincere che:

1) limitarsi al “minimo sindacale” dell’adeguamento di legge – come 9001, 10891 e 50518 – non basta più (rimanderei ad altra sede la riflessione sul fatto ancora molti istituti non siano nemmeno a norma);

2) la Qualità, intesa come area aziendale, diventa fondamentale per il lavoro del cosiddetto ufficio gare, e non si può pensare ad uno sviluppo aziendale senza momenti di confronto che comprendano anche gli esponenti di questi ultimi;

3) Sicurezza, Ambiente, Qualità, Privacy sono belle parole e possono anche essere sostenuti da professionisti, ma la valutazione oggi passa dal possesso o meno della certificazione. Punto.

Aggiungo che, parlando di certificazioni, diventano sempre più richieste dai committenti quelle relative alle figure professionali come il Security Manager ai sensi della UNI EN ISO 10459:2017 e quella del ventaglio di figure della privacy ai sensi della UNI 11697:2017. Finora, si noti bene, si parlava del Security Manager certificato solamente nel perimetro dell’obbligatorietà di legge oppure sostanzialmente per motivi di marketing e promozione. Ebbene oggi non è solo marketing, non è solo “obbligatorio nei casi x, y, z”: è un sistema oggettivo per scegliere i fornitori dei servizi di vigilanza. E 4 punti possono fare la differenza tra aggiudicarsi un servizio o arrivare secondi, quindi non lavorare.

Proprio mentre sto per far dare il via alla IV edizione del corso di formazione per security manager, faccio questo tipo di ragionamenti e mi chiedo quanto sarebbe bello se, dopo aver letto questo articolo, qualcuno – invece di pensare “ma quanto mi costa la certificazione?” – cominciasse a chiedersi: “ma quanto vale la certificazione?”

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