Vigilanza privata, private equity e multinazionali: scenari futuri e strategie degli investitori

14 Mag 2012

di Ilaria Garaffoni

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Dopo un periodo di forte interesse delle private equity verso il settore della vigilanza privata (gli “anni d’oro” 2004-2008: clicca qui per approfondimenti) il mercato si è fermato, essenzialmente per carenza di finanziamenti bancari. A fine 2011 due transazioni di private equity hanno riaperto il mercato, con l’acquisizione di La Patria e la partecipazione in Allsystem. La domanda è: che succederà adesso?
Quale sarà il futuro prossimo della vigilanza in Italia e quali saranno le strategie degli investitori?
Le multinazionali estere sbarcheranno in Italia? E sarà un bene o un male assoluto per il settore?
L’abbiamo chiesto a Silverio Davoli di Cross Border, Advisor per cessioni e acquisizioni societarie leader nel settore sicurezza in Italia (ha assistito i proprietari dell’IVRI, l’acquirente di Sicurglobal e altre operazioni più piccole).

Il futuro prossimo

Nel 2012 sono in peggioramento i fattori negativi: fallimenti e insolvenze, circolante lungo e non finanziabile, rapporto tra costo del lavoro e tariffe. Ma i tre segmenti (allarmi, piantonamento e trasporto valori) hanno fondamentali molto diversi tra loro. E resta il problema/opportunità tutto italiano: aziende troppo piccole = incidenza troppo alta dei costi fissi e difficoltà ad avere manager di alta competenza.

Per cui gli investitori puntano a:

1. concentrazione sul settore allarmi;
2. crescita dimensionale per aggregazione e quindi efficienze gestionali.

Allarmi

Negli allarmi, l’attenzione è sul segmento “small client” (appartamenti e piccoli negozi), che in Italia è sottosviluppato e invece all’estero cresce (lo dimostra il successo di Securitas Direct).
Questo segmento richiede però strategie e investimenti molto diversi dal passato, e gli operatori in grado di farlo sono pochi. Bisogna anche adattare il modello di servizio al segmento: vinceranno le aziende capaci di modificare tutti questi elementi insieme.

Qui i private equity saranno un fattore positivo, perché, non potendo più creare valore finanziario con leva bancaria e uscite in borsa, devono per forza creare valore industriale. Nei grandi gruppi che hanno acquisito, hanno già aumentato la dimensione e la centralizzazione.
Ovviamente, non sempre i finanziari riescono ad avere impatto diretto sulla gestione.
E quando aumentano il debito per acquisire a leva, riducono la capacità di investimento.
Quindi non sono sempre e comunque la soluzione giusta; ma comunque favoriscono le aggregazioni, che in questo momento è la priorità assoluta.

Negli allarmi, la densità locale è un altro fattore chiave. Quindi forti quote di mercato locali saranno più importanti di quote nazionali disperse. Le aggregazioni saranno fatte con una logica non di volumi, ma di sinergia territoriale (stessa provincia o confinanti).

Trasporto valori

Nel trasporto valori, invece, è essenziale disporre di una copertura nazionale, quindi gli operatori provinciali avranno meno futuro e il segmento del trasporto dovrà sempre più separarsi dalla vigilanza.
Se quanto sopra è corretto, allora lo scenario probabile sarà caratterizzato da un minor numero di aziende, dovuto sia a chiusure sia ad aggregazioni, ma più grandi e più efficienti, più focalizzate su segmenti e territori.

Piantonamento

Nell’immediato, però, la sfida è ridurre il numero di contratti di piantonamento in perdita, quindi il numero delle guardie giurate e il costo/rigidità del lavoro.
Il 2012-13 saranno anni di ristrutturazione, non di espansione. Chi lo farà meglio e più rapidamente emergerà come vincente. Ma gli ostacoli sono politici e sindacali, non gestionali o finanziari.
L’Italia qui è molto penalizzata: non solo manca la flessibilità, ma in alcuni casi si proteggono vantaggi minori e dequalificanti come il “diritto all’assenteismo”, invece di far comprendere appieno ai lavoratori l’importanza di efficienza e competitività, nell’interesse del lavoratore stesso. E’ come insistere a insegnare latino e greco sacrificando inglese e informatica. Si crede di proteggere, invece si danneggia.

E poi il sistema fiscale. Ad esempio, l’IRAP sul costo del lavoro è un ottimo strumento di politica economica …se si desidera aumentare la disoccupazione. Le competenze necessarie sono politiche (e cominciano ad emergere) e sindacali. Gli investitori non possono aiutare.
Questo lo diciamo non per fare polemica politica, ma per rispondere all’ultima questione: arriveranno le multinazionali estere?
Negli allarmi è probabile, ma difficilmente nel 2012, anno di disdette e circolante in aumento.

Altrettanto probabile che le multinazionali arrivino, negli anni futuri, nel trasporto valori.
Nel 2012 inizia a ridursi la frammentazione di questo mercato, anche senza acquisizioni societarie (finora pochissime e molto locali). Le banche cominciano a capire quanto costa pensare solo ai prezzi e non alla qualità, e favorire l’intermediazione incoraggiando la frammentazione dei fornitori.
C’è qualche segnale che cominciano a preferire, come accadde in Spagna quindici anni fa, fornitori più grandi e più affidabili; per il momento lo stanno facendo con le aziende italiane più direttamente presenti sul territorio e meglio organizzate.

Ma nella vigilanza fisica le multinazionali non investiranno finché il mercato italiano non avrà normative, sindacati e tassazione tali da permettere ai gruppi esteri di fare il proprio mestiere, ossia: ottimizzare la forza lavoro su grande scala, usando strumenti informatici avanzati. Flessibilità nell’assumere e licenziare; sostituire guardie con tecnologia ( = meno personale ma più qualificato e motivato); ottimizzare la selezione del personale per il singolo servizio in tempo reale e non sui picchi; in breve, migliorare costo medio e produttività.
Questa è l’unica speranza di crescita, in un settore che non esporta e ad alta incidenza del costo del lavoro. Gli svantaggi italiani rimandano la ripresa a tempi indefinibili, e quindi anche l’ingresso degli investitori e delle multinazionali.

Solo qualche gruppo privato italiano relativamente grande e ben gestito, con strumenti informatici avanzati, capace di fare accordi sindacali e bancari per ristrutturare aziende e debiti, potrebbe forse approfittare della crisi per creare un forte leader nella vigilanza fisica.

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