Circolare porto d’armi: c’è qualcosa di nuovo, anzi d’antico

14 Mar 2018

di Bastian Contrario

Mai come oggi L’Aquilone di Pascoli sembra attagliarsi al Ministero dell’Interno che, per la vigilanza privata, sta emanando circolari (tra l’altro con una frequenza quasi impressionante) che sembrano foriere di novità …e invece rappresentano un brusco balzo all’indietro dell’amministrazione e, quindi, del settore.
Comincia così la lettera che Bastian Contrario ha mandato alla nostra Redazione a commento delle ultime circolari  emanate dall’Amministrazione dell’Interno, Dipartimento di PS. La pubblichiamo integralmente, certi che susciterà un animato dibattito.

Ricordate sicuramente la circolare del 14 febbraio scorso (regalo di San Valentino!) sui trasporti di valori diversi dal denaro contante che, solo, per l’avvedutezza e la modernità (sic!) del Consiglio di Stato, ha messo un punto fermo a favore degli istituti di vigilanza, ma dalla lettura del parere del Consiglio si capiva chiaramente che la posizione dell’amministrazione di PS tendeva ad un’interpretazione opposta e contraria a quello che, negli ultimi dieci anni, la stessa amministrazione aveva perseguito (insomma c’è mancato poco che DHL e co. fossero legittimati a portare in giro oro e gioielli)!

E poi la circolare del 7 marzo, quella relativa alle procedure di rilascio dei decreti di approvazione della nomina a guardia giurata e del connesso porto d’arma, con la quale si è tornati alla situazione ante 2008, a quando cioè le licenze degli istituti erano provinciali (con buona pace della Corte di Giustizia europea). Eh sì, perché la circolare in questione, rigidamente applicando il parere del Consiglio di Stato (anzi, essendo più realista del re), che peraltro l’amministrazione aveva chiesto, stabilisce che dal 3 aprile prossimo i decreti di guardia giurata e i porti d’arma saranno rilasciati dalla prefettura del luogo di “residenza” della guardia giurata anche per le guardie – e sono la maggioranza – che lavorano per istituti che operano a livello interporvinciale, interregionale o, peggio, nazionale.

Come si faceva nel 1931, cosi si farà dunque nel 2018. Mirabile esempio di continuità della pubblica amministrazione.
Qualcuno potrebbe dire: ma gli istituti di vigilanza sono un po’ diversi da quelli del ’31: hanno un’unica licenza che li abilita ad operare in ambiti anche molto estesi; hanno una sede principale che è il cuore dell’azienda, il centro d’imputazione degli affari; hanno “una struttura organizzativa, di gruppo e di impresa, coerente e funzionale all’attività che si intende svolgere ed ai livelli dimensionali ed agli ambiti territoriali nei quali si intende operare” (come recita l’Allegato A del decreto Maroni); hanno una centrale operativa dalla quale coordinano, supportano e organizzano tutte le guardie giurate dipendenti; hanno una gestione informatizzata e centralizzata delle risorse umane.

Bene, adesso avranno anche tante guardie giurate che se ne andranno in giro per l’Italia a richiedere i decreti per poter lavorare!
Insomma, una decisione che, ancorché “formalmente” rispettosa della legge (del 1931), non tiene conto dell’organizzazione delle aziende, della gestione delle risorse umane, delle notorie difficoltà e lentezze burocratiche delle nostre prefetture e che – spero di essere smentito – renderà ancora più complicato, per le aziende e per i lavoratori, ottenere le autorizzazioni necessarie a lavorare.

La domanda nasce spontanea (come diceva quel tale): perché ciò accade?
Forse perché da qualche tempo si è come interrotto quel dialogo tra parte pubblica e parte privata che finora aveva caratterizzato positivamente questo settore.
C’è qualcosa di nuovo oggi… nell’amministrazione, anzi di antico!

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