Dopo NES, Ipervigile: chi gestisce il denaro in Italia?

24 Ott 2013

di Ilaria Garaffoni

“Care banche, se il vostro outsourcer per la contazione e il trasporto del denaro è dotato di licenza di PS, non è detto che sia anche a posto con le regole. Approfondite, chiedete e fate verifiche sullistituto di cui vi servite o esigetele dal vostro network di fiducia, perchè il processo di transizione verso la riforma della vigilanza privata non si è ancora concluso e, nelle more dell’endemica carenza di risorse per i controlli dell’autorità tutoria, i furbetti si muovono brillantemente”.
Queste le parole di Vincenzo Acunzo al workshop ABI sul ciclo del contante. Inutile dire che su queste parole, come sull’intero workshop, aleggiava l’ombra della faccenda NES, alla quale – sarà un caso?- proprio oggi si aggiunge l’analoga questione Ipervigile, cui Banca d’Italia ha vietato di operare ricircolo di denaro. La licenza è ancora lì, ma qualcosa probabilmente non va nel rispetto delle regole.
E il problema potrebbe avere contorni ben più ampi, dal momento che Banca d’ Italia ha controllato a campione un terzo delle società di contazione, riscontrandole nel 75% dei casi inadeguate.
Queste ispezioni sono segretate fino all’elevazione di eventuale sanzione, quindi non possono essere inoltrate agli istituti bancari per informazione, ma nulla vieta alle banche, nell’ambito del proprio potere di verifica, di richiedere all’istituto gli esiti di tali ispezioni.

E poi ci sono i network: diamo un senso a queste figure, ufficialmente nate per soddisfare banche e poste quando c’erano 113 licenze e 113 interlocutori provinciali, ma nella gran parte dei casi rimaste in piedi solo per andare sotto la tariffa minima.
Diamo la possibilità ai “network puri” di rivendicare il proprio valore aggiunto di consulenti, quindi di selettori competenti, quindi di controllori, degli istituti dei quali si avvalgono.
Controllare conviene a tutti: al mercato del trattamento del denaro, per fare un po’ di pulizia, ma soprattutto alle banche.
Anche perchè un caveaux sul quale pende un sospetto di ammanchi va immediatamente svuotato, è chiaro, ma quale assicurazione coprirebbe eventuali danni nella contazione per un istituto al quale sia stata revocata la licenza?

Ma perchè allora – viene da chiedersi – non si è intervenuti prima del fattaccio, almeno nei casi più eclatanti, con esposizioni debitorie esagerate, guardie giurate che ricevono lo stipendio a singhiozzo e voci che girano da sempre nell’ambiente?
Non erano già campanelli d’allarme che avrebbero dovuto mettere in moto la macchina dei controlli e far ragionare sull’opportunità o meno della conservazione della licenza?
Ebbene, il mantenimento dei livelli occupazionali è ancora il freno numero uno (NES dovrebbe però finire in amministrazione controllata, quindi salvare i lavoratori), assieme al rischio di sospensione di servizi oggettivamente essenziali, soprattutto nelle aree dove regnano “istituti monopolisti”. Cosa succederebbe infatti se le poste restassero a secco in un giorno di pensione o i bancomat fossero vuoti il 23 dicembre? Visto che la recente sentenza del TAR Lazio ha contestato la (giuridicamente forzata, ma lo sapevamo) pratica di affidare ad altri isituti i servizi in essere in caso di sospensione o revoca di licenza, come si possono salvare contemporaneamente posti di lavoro, servizi e legalità?
“Ognuno deve fare la sua parte” – ha risposto Enrica Teresa Vignoli, Responsabile Servizio Cassa Generale di Banca d’Italia.

Tutti devono insomma controllare: Banca d’ Italia e il ministero dell’Interno certo, ma anche l’ABI, i network e gli stessi istituti. Perchè chi è sano non ha nulla da temere.

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