Vigilanza Privata: analisi di un settore allo sbando

04 Ago 2023

di Bastian Contrario

In quest’estate torrida, per la vigilanza privata il meteo c’entra poco. Vicende giudiziarie che potrebbero fare da apripista per il salario minimo in Italia e un’attenzione più che mai pruriginosa della stampa costellano la calda estate vigilantina. E il nostro Bastiancontrario, tra un Bartezzaghi e uno spriz, scrive un articolo altrettanto infuocato in cui ne ha davvero per tutti. Anche per noi di VPOnline, che però gli vogliamo e gli vorremo sempre bene.

Siamo uomini o caporali?

di Bastiancontrario

Utilizzo il titolo di un film di Totò, che il mio unico lettore sicuramente conoscerà, per affrontare, buon ultimo, la nota questione dei servizi di portierato, del caporalato, delle finte coop, e via dicendo. In realtà, questa rubrica avrebbe potuto essere tra le prime a trattare la questione, ma una piccola diversità di vedute con il direttore della testata non lo ha consentito. Ma, primo o ultimo, quello che conta è provare a mettere in fila i punti salienti di questa complessa questione.

1) Le guardie giurate e, soprattutto, gli addetti ai servizi fiduciari guadagnano poco, con tutto il corollario di difficoltà, malcontento, turni stressanti, eccesso di straordinari e via discorrendo che questo comporta. Ma, d’altro canto, in un paese in cui gli operatori delle Forze dell’ordine guadagnano poco, è quasi inevitabile che muovendosi lungo la filiera della sicurezza gli stipendi siano progressivamente sempre più bassi.

2) Gli imprenditori sono pressati da un sistema fatto di costo del lavoro elevato, tassazione abnorme, burocrazia borbonica che li porta a cercare di “ottimizzare” il più possibile i costi, adottando, talvolta, soluzioni border line (non commento le situazioni patologiche sulle quali deve far luce la magistratura).

3) La committenza privata e, soprattutto, pubblica si preoccupa solo del “prezzo più basso”. E quindi ecco pubbliche amministrazioni che impiegano portieri in servizi per i quali sono previste le guardie giurate o, addirittura, si rivolgono alla Forze di polizia (leggi Guardia di Finanza) per gli stessi servizi. Oppure istituzioni deputate al controllo della regolarità del lavoro che affidano servizi fiduciari a quelle che, adesso, si definiscono “tariffe sotto la soglia di povertà”, con buona pace della sicurezza e qualità dei servizi. Per non parlare poi della grande committenza privata che, incurante di tutto quello che sta accadendo, continua ad imporre (estorcere?) i propri prezzi.

4) Quello della sicurezza privata continua ad essere un settore in cui la rappresentanza (datoriale soprattutto, ma anche dei lavoratori) non è riuscita a fare quel salto di qualità che le avrebbe consentito di sedersi in maniera paritetica ai tavoli importanti (quelli, per esempio, con la politica, con le istituzioni, specie quelle di controllo). Forse perché questo resta un settore “a gestione famigliare” e la rappresentanza risente di questo limite.

5) Le istituzioni, specie quelle chiamate a regolare e controllare il settore, sono spesso assenti o, nella migliore delle ipotesi, in ritardo rispetto ai problemi reali della categoria, imbrigliate in pastoie burocratiche che rischiano di vanificare (e spesso vanificano) anche le scelte più moderne che, con notevole sacrificio, si è cercato di realizzare.

A questi punti aggiungiamo, a latere ma non tanto, una magistratura che, sempre più spesso, ritiene di dover intervenire non solo, com’è giusto che sia, per individuare e reprimere l’illegalità, ma in surroga di una politica ritenuta (spesso non senza ragione) incapace di svolgere il suo ruolo e, nel caso di cui parliamo, del libero mercato e della libera contrattazione tra le parti sociali, riscrivendo le regole delle relazioni industriali (peraltro addirittura con la benedizione di quella stessa politica).

E proprio qui sta l’errore: la situazione in cui versa il settore non può e non deve essere risolta dalla magistratura, ma dalla politica perché sono necessari interventi legislativi importanti, volti a ridurre il costo del lavoro, tutelare la continuità occupazionale e retributiva negli appalti, garantire parità di trattamento negli appalti tra settore pubblico e settore privato, individuare nuovi ambiti di azione e delimitare chiaramente quelli esistenti e altro ancora.

Questa è la politica che serve, non quella che ha assistito per anni inerte al declino di un settore che neanche riusciva a rinnovare un contratto.

Non quella che si muove con iniziative estemporanee e inefficaci (spero di essere smentito dagli esiti del tavolo avviato al Ministero del Lavoro), perché prive di una visione complessiva e di ampio respiro.

Serve una politica di uomini e non di caporali.

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