Contractor, mercenari, pirati: la privatizzazione della sicurezza sotto la lente

06 Nov 2011

di Redazione

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Sono contractors… In Italia ci sono, io li ho visti, li conosco.. Si addestrano come militari ma non lo sono.. lavorano da soli o in gruppi..”
Troppo spesso leggo queste frasi, ancor più in questo periodo, con quel benedetto decreto antipirateria italiano. E come sempre accade nel Belpaese, una semplice (e utopistica) scelta di out-sourcing della security si trasforma sistematicamente in qualcosa di losco, buio, da indagare e denigrare. A prescindere.
Quante volte poi leggiamo in forum, post, siti, giornali la famosa frase “..si fanno chiamare contractor ma sono mercenari!” , quando la legislazione internazionale sul mercenarismo parla chiaro. Molto chiaro.
A mio (opinabilissimo) avviso, il disguido – spesso volontario – nasce dalla mancanza di punti di riferimento. Le persone ignorano le figure, le leggi, i termini e i significati di certe parole, abusando delle stesse e stuprando discorsi che, effettivamente, hanno ben poco di chiaro. Poniamoci allora due importanti domande. Chi sono i mercenari? E quali sono le realtà della sicurezza privata?

Nel campo internazionale esistono importanti convenzioni, che in maniera netta e precisa disciplinano l’attività mercenaria. Le principali sono le seguenti.

In primis il I° Protocollo Addizionale alle Convenzioni di Ginevra del 18/08/1977 che con l’art. 47 nega al mercenario lo status di combattente e di prigioniero di guerra (se catturato è alla completa mercè del nemico, non avendo diritto al trattamento di prigioniero di guerra), ne scoraggia l’utilizzo (ma non lo vieta) e definisce che l’impiego non costituisce una violazione del Diritto Internazionale imputabile allo Stato che lo invia. Al paragrafo 2 (lett. A-F) c’è una primaria e sostanziale definizione del mercenario:

  • Colui che è appositamente reclutato per combattere;

  • Colui che di fatto prende parte alle ostilità;

  • Che è motivato dal guadagno personale (di entità maggiore rispetto a quella del soldato);

  • Che non è un cittadino o un residente o un membro del Paese in conflitto.

Questa definizione è importantissima per quanto concerne il discorso operatori di sicurezza, perché questi quattro punti devono essere presenti sempre, tutti e quattro.

La Convenzione Internazionale dell’ONU del 1989, entrata in vigore nel 2001, riprende la definizione precedente ma estende l’applicazione, non fermandosi al solo conflitto armato (allargando ad altri importanti casi come il rovesciamento di Governo sovrano, il minacciare l’integrità territoriale o l’ordine costituzionale di uno Stato) e criminalizza chi recluta, finanzia, utilizza o equipaggia. Tale convenzione è stata recepita dall’Italia con la legge 12 maggio 1995 art.210 e modifiche successive (nel codice penale art. 244,288).

La Convenzione dell’Organizzazione per l’Unità Africana del 1977, entrata in vigore nel 1985 per 27 dei 53 Stati dell’OUA, oltre a definire il mercenarismo, ne prevede il crimine nell’art.1 par.2 e art.2. La Convenzione inoltre vieta agli Stati il reclutamento, l’addestramento, il finanziamento e l’equipaggiamento dei mercenari.

Il Foreign Military Assistance Act del Sudafrica (14 maggio 1998), necessario per monitorare Compagnie e singoli, fondamentalmente distingue le attività tra proibite e regolamentate e regola le società, ma non le proibisce. E’ una delle poche e chiare prese di posizione nei confronti delle PMC (Private Military Company).

Il Documento di Montreaux di cui l’Italia è firmataria dal giugno 2009, redatto nel biennio 2006/2008 da un’idea della Svizzera, dà espressione all’esigenza che il diritto internazionale, in particolare il diritto internazionale umanitario e la legislazione sui diritti umani, trovi applicazione alle PMSC e che non vi sia un vuoto legislativo in merito alle loro attività. Più che un diktat, è una guida per le questioni di ordine legale e pratico che emergono spesso nell’impiego o nella valutazione delle società di sicurezza privata. Proprio per questo, fa riferimento a obblighi legali internazionali già esistenti. Non ne stabilisce di nuovi e non è vincolante a livello giuridico.

I mercenari sono un problema serio e spesso circoscritto, nato negli anni Sessanta ma che con gli anni e i relativi avvenimenti geopolitici si è tramutato in qualcosa di diverso rispetto all’originario. Oggi il mercenario è spesso definito “professionista della guerra”, nella maggior parte dei casi prodotto naturale dei trattati di pace, del successivo smembramento di interi eserciti (occidentali, orientali, africani) e cambiamenti geopolitici (collasso dell’Unione Sovietici, cambiamenti al potere di alcuni stati africani).

Definita quindi la figura del mercenario e la legislazione da rispettare, è necessario analizzare, per meglio comprendere la variegata (e spesso confusa) realtà della sicurezza privata, le principali realtà della sicurezza privata, che possono essere suddivise in due “gruppi” distinti:

  • legate all’industria della sicurezza,

  • legate alle attività militari.

La differenza è sostanziale.
Le prime infatti forniscono servizi di vario tipo, ma non prendono parte attivamente alle attività bellica, e sono ritenute legittime da molte realtà, anche umanitarie. Sono universalmente definite Private Security Firm (PSF).

Le altre, invece, possono essere coinvolte in attività vicine al mondo militare, come le Private Security Company (PSC) o direttamente coinvolte come le Private Military Company (PMC), che lavorano per governi legittimi ma prendono parte attivamente alla realtà bellica a fianco o a sostegno delle forze e delle istituzioni. I contractors, così come le PMC, ricoprono ruoli specifici che spesso il governo, per ragioni specifiche, non potrebbe portare avanti. Generalmente con il termine contractor si riconosce l’operatore legato alla società privata che lavora per il Governo. E, fatto molto particolare, sono soprattutto i giornalisti italiani che confondono i contractor con i mercenari, facendo danzare i due termini con facilità nei loro articoli, e creando ancora più confusione. In termini più corretti e specifici, contractor è la struttura privata che, con un contratto diretto, svolge i propri servizi. Realtà finanziate a livello governativo in maniera importante (si pensi che solo nel 2008 almeno 2,7 miliardi di questi fondi – quasi il 30% della totalità – sono stati fatturati a Halliburton Corporation, per anni il maggior contractor in Iraq, compagnia fino al 2000 guidata dal vice-presidente Cheney) che coprono, con attenti siti nei migliori paradisi fiscali, gli ottimi introiti che porta l’essere al servizio dei Governi nelle guerre moderne. Ma non sempre questi paradisi sono così tranquilli. Si pensi alla vicina Svizzera, che proprio pochi giorni fa ha deciso, in maniera del tutto imprevista, di non dare più asilo alle sedi di importanti aziende della sicurezza privata, tra cui la famosa Aegis.

Ciò che ha contribuito a rendere questa figura particolarmente invisa dall’opinione pubblica è il famoso Ordine 17 del giugno 2004 ratificato da Paul Bremer, governatore del Coalition Provisional Authority, che ha istituito l’immunità legale per gli operatori. E il famoso caso del 16 settembre 2007, in cui una delegazione del Dipartimento di Stato, transitando per Nisour Square a Bagdad scortata da uomini della Blackwater, uccide in uno scontro a fuoco 17 civili e ne ferisce 35, tutti iracheni. Questo porta alla ribalta, in maniera negativa, la realtà della sicurezza privata. La dinamica dell’incidente e le cause rendono il fatto altisonante e la risposta delle autorità irachene fa reagire l’opinione pubblica. Fatto che, per onor di cronaca, è stato sanzionato e ha portato alla revoca del contratto alla Blackwater.

Tuttavia, tutte queste specifiche realtà non possono essere rapportate ad attività mercenarie, perché la definizione stessa della professione, gli incarichi specifici e il ruolo del committente non fanno rientrare le stesse attività sotto l’ombrello del mercenarismo. Rispondono però per i crimini di guerra che possono commettere (genocidio, crimini contro l’umanità e di guerra).

Usare termini generici o accorpare realtà diverse sotto un’unica bandiera non fa altro che creare confusione, lasciando libera interpretazione ad una realtà che tutto è, fuorché sommaria o soggettivamente interpretabile. Definire un operatore PSD (Personal Security Detail, attività di protezione personale in zone ad alto rischio, rappresentante una piccola parte delle migliaia di operatori impiegati in tutto il mondo) come un mercenario, un contractor o un bandito, poco ha a che vedere con la realtà dei fatti, sia a livello legislativo che, più terra/terra, a livello pratico lavorativo. Ma non si può, per correttezza e onestà intellettuale, fare di tutta l’erba un fascio.

Che ci siano situazioni fangose e poco chiare è purtroppo risaputo. Come è anche vero che ci sono fin troppi “fake instructors” (che definirei mercenari della formazione, i quali, per denaro, formano in maniera superficiale e senza uno specifico knowhow ragazzi che vogliono intraprendere questo lavoro) o agenzie italiane che si spacciano per qualcosa che non possono essere, promettendo formazione prima e lavoro dopo. Questi “pseudo-operatori” poi popolano il settore, creando una base poco solida e ricca di incomprensioni, mezze verità o misunderstanding.

Il settore privato della sicurezza è un’entità in continuo cambiamento, in cui molto spesso una possibile evoluzione rappresenta invece un’involuzione; in cui una volontà di cambiamento positivo si trasforma invece in un’arma a doppio taglio; in cui titoli e realtà si fondono, creando situazioni al limite del tragicomico; in cui Governi, compreso quello italiano, per proteggere interessi nazionali all’estero, usano società private estere per non far inorridire la propria opinione pubblica.

Quando, in realtà, un po’ più di chiarezza e consapevolezza collettiva sarebbe un efficiente toccasana, per chi lavora e per chi sta a guardare.

Scrivo questo articolo mentre il decreto antipirateria è al suo apice di discussione, collettiva e nei palazzi istituzionali. Ma sarei felice di vedere, una volta per tutte, un’apertura mentale da parte di istituzioni, addetti del mestiere e opinione pubblica. Sarebbe ora di permettere al settore privato, quello serio, professionale e performante, di entrare in partita. Porterebbe chiarezza, possibilità lavorative e un netto passo avanti per tutta l’Italia. Ma, forse, è chiedere troppo.

Luca Tomaiuolo

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