Secondo decreto emergenziale (triste vedere solo in queste occasioni un uso appropriato della decretazione d’urgenza) del governo Conte bis per uniformare le misure di contrasto al rischio Coronavirus. Il DPCM sarà in vigore dal 2 marzo e – salvo diverse previsioni – fino all’8. L’Italia è divisa per fasce di severità della diffusione del contagio, con misure via via meno invasive di contenimento che arrivano a interessare l’intera popolazione. Nel lasciare il dettaglio alla lettura del decreto (comunque sbandierato su qualunque telegiornale), segnaliamo che finalmente lo smart working trova uno spazio utile anche in Italia. Anche se nel comparto sicurezza e vigilanza privata si tratta di un’ipotesi raramente percorribile, potrebbe comunque essere di ausilio per le famiglie dove l’altro coniuge svolge un diverso tipo di lavoro, soprattutto in tempi di scuole chiuse e gestione di figli recalcitranti.
L’utilità di questa modalità “intelligente” si ravvisa del resto non solo sul fronte sanitario, ma anche di impatto ambientale e di gestione dell’organizzazione familiare, soprattutto per le lavoratrici madri. Lo smart working è oggi applicabile a qualunque rapporto di lavoro subordinato, su tutto il territorio nazionale, anche in assenza degli accordi individuali cui la normativa di riferimento rinvia per l’attivazione della predetta attività di lavoro, e per la durata dello stato di emergenza (sei mesi dalla data della deliberazione del Consiglio dei Ministri 31 gennaio 2020).
L’informativa scritta nella quale sono individuati i rischi connessi alla particolare modalità di esecuzione del rapporto di lavoro – finalizzata all’assolvimento degli obblighi in materia di salute e sicurezza nei confronti dei lavoratori e dei rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza (RLS) – può essere resa in via telematica anche ricorrendo alla documentazione disponibile sul sito dell’INAIL (cfr nota 26 febbraio 2020).
Alleghiamo anche le considerazioni del Segretario Generale di Confcommercio, Luigi Taranto, sul DPCM.