Con 1.326 imprese attive sul territorio nazionale, il settore vigilanza e sicurezza privata dà lavoro a quasi 70.000 addetti, 41.000 dei quali sono guardie giurate, per un fatturato complessivo che nel 2014 si attestava intorno ai 3 miliardi e 300 milioni di euro. Questo lo scenario illustrato da Format Research al Convegno di Federsicurezza dello scorso 27 ottobre. Tutto bene, dunque? Il quadro che emerge è in verità quello di un settore che ha cambiato pelle, prima per i diktat imposti dall’Europa e poi per la crisi che non l’ha risparmiato, elevando sempre più gli standard di richiesta della clientela ed abbassandone al contempo la capacità (o la volontà) di spesa. Ma soprattutto è il quadro di un settore che in otto anni ha perso quasi il 20% della sua capacità di produrre ricchezza, tornando nel 2014 a valori simili a quelli del 2006. L’adeguamento previsto dalla riforma ha poi comportato ingenti investimenti, che hanno ulteriormente ridotto la capacità di produrre utili delle imprese. Tra i segnali più allarmanti si segnala in effetti proprio la scarsa capacità di produrre margini e ricchezza: nel complesso, infatti, il settore risulta in perdita, con un risultato operativo prima delle imposte pari a quasi 60 milioni di deficit. Il “dopo imposte” non vogliamo neanche immaginarlo…
Ma attenzione: questo fenomeno non vale per tutti. Soffrono decisamente di più le imprese che non hanno saputo investire in innovazione tecnologica o interpretare le nuove richieste del mercato, sempre più orientate verso un mix di servizi – dei quali la vigilanza armata è elemento spesso minoritario.
Si tratta, non a caso, delle imprese meno dimensionate. Il settore si è infatti sempre più polarizzato, tanto che oggi le grandi imprese (con oltre 249 addetti), pur rappresentando il 3,4% del paniere, producono da sole quasi metà del fatturato di comparto (il 71% di queste imprese registra utile) e danno lavoro all’80% degli occupati. Tanto per avere un parametro di confronto, le oltre 700 micro imprese del settore danno lavoro a meno del 3% degli occupati.
La polarizzazione si configura peraltro anche a livello geografico: un terzo dell’intero volume d’affari è infatti prodotto dalle imprese del Nord Italia, mentre Lombardia e Lazio (Roma, di fatto) coprono da sole il 44% del fatturato totale del settore, dando lavoro a quasi il 60% degli occupati. Il tema del lavoro è peraltro la prima voce del bilancio e si caratterizza per una fortissima mobilità di impresa, con conseguente dispersione anche dell’investimento per la formazione dei lavoratori.
Format Research ha infine presentato uno zoom sulle imprese che operano nel Lazio: in totale 176 – 147 delle quali situate in provincia di Roma. Il fatturato complessivo si stima in 680 milioni di euro, per oltre 9000 addetti impiegati. Le grandi imprese solo 11 e insistono tutte sulla capitale, rappresentando quasi il 25% delle grandi imprese del comparto a livello nazionale. Insieme a quelle della Lombardia, le imprese del Lazio hanno investito pesantemente in adeguamenti normativi e modifiche del modello di business, mantenendo alta la domanda ma riducendo, per converso, margini e soprattutto liquidità.