Ci chiedevamo come mai Bastiancontrario non avesse nulla da dire sugli ultimi pasticciati tentativi di riforma, considerato che il settore vigilanza privata e servizi di sicurezza non ha nemmeno finito di mettere a terra la riforma classe 2008 (e il decreto formazione finirà ormai a Chi l’ha visto). Per fortuna l’assolato Agosto ha risvegliato la vis polemica del nostro anonimo autore, che stavolta ci richiama a non buttare anche il bambino assieme all’acqua, anche se è non proprio limpida e balneabile come la Senna.
Grazie, anche no!
Bastiancontrario
Il mio unico lettore, se non troppo stremato da questa calda estate (sempre più calda della precedente, ma meno della prossima!), avrà notato l’anomala vitalità, anzi iperattività, politica di questi ultimi tempi in materia di sicurezza privata. Sembra, infatti, che all’improvviso l’intero “arco costituzionale” (come si diceva una volta), ma anche i vertici dell’amministrazione di riferimento, abbiano scoperto l’importanza del settore e l’ineludibile necessità di “riformarlo”! Ma queste idee di riforma, come già accaduto in occasioni analoghe, sono tutte viziate dal peccato originale della scarsa conoscenza del settore, del punto a cui è (faticosamente) arrivato e delle sue prospettive e necessità.
Ora, la sensazione è che il settore non senta alcun bisogno di una nuova disciplina della sicurezza privata, dopo che ci sono voluti circa quindici anni per metabolizzare la riforma del 2008 (e i provvedimenti attuativi del 2010 e del 2014) e, soprattutto, dopo che, finalmente le aziende cominciano a vedere i frutti dell’impegno considerevole messo in campo. Lo scenario attuale del settore è costituito da un sistema che vede ridotto il numero delle aziende a favore della qualità dei servizi erogati e della sicurezza del lavoro. Un sistema in cui la certificazione di qualità costituisce una risorsa fondamentale per le aziende, ma anche per la pubblica amministrazione, e che consente agli imprenditori di estendere la propria azione, sia dal punto di vista territoriale che dei servizi, in maniera rapida e flessibile, in tal modo aumentando la platea dei lavoratori impiegati.
Piuttosto, si sente il bisogno di definire alcuni elementi della riforma del 2008 rimasti ancora incompiuti (i decreti sulla formazione delle guardie giurate e sulla congruità delle tariffe ad esempio), nonché l’inquadramento nell’attuale cornice della sicurezza privata delle nuove attività che si agitano sullo scenario dalla cybersicurezza ai servizi ausiliari, alla tutela delle persone fino alla sicurezza all’estero.
Qualche spunto degno d’interesse, in verità, nella congerie di proposte di legge si può trovare – ad esempio l’idea di far accedere le aziende agli elenchi provinciali delle guardie giurate – ma tali spunti necessitano di essere razionalizzati e, soprattutto, di essere inseriti nella vigente cornice normativa. Il contesto delle leggi di pubblica sicurezza non deve essere abbandonato, perché è sempre di sicurezza pubblica che parliamo, ma è necessaria l’integrazione delle nuove esigenze e opportunità: integrare, quindi, il Testo Unico, migliorare ed implementare le soluzioni già previste dalla normativa (il database nazionale delle guardie giurate già esiste, ma non funziona correttamente e, soprattutto, non è accessibile alle aziende), correggere qualche svarione (ad esempio l’obbligo – velatamente incostituzionale – di aver prestato servizio quale volontario di truppa delle forze armate), sembra l’unica strada da seguire se si vuole migliorare il settore e renderlo più attrattivo (le aziende combattono con la difficoltà di reperire operatori) e performante. Innanzitutto, però, è necessario superare il principio secondo cui tutto quello che è stato fatto in passato è sbagliato e deve essere cassato; è, invece, dall’esperienza maturata in questi anni che si deve partire per progredire.
Una nuova (e pasticciata) riforma del settore? Grazie, anche no!