Vigilanza privata e security tra rappresentanza, CCNL e appalti: il pensiero di Federsicurezza

08 Mag 2017

di Ilaria Garaffoni

Per FederSicurezza nulla osta a buttare sul piatto della discussione i numeri della rappresentanza di vigilanza privata e servizi fiduciari di sicurezza. L’obiettivo? Acquisire presso le autorità tutorie una credibilità tale per cui il mercato e le stesse committenze (almeno quelle pubbliche) rispettino le regole del gioco, sul fronte della corretta competizione e sul piano della contrattazione di lavoro. Ne abbiamo parlato con il Presidente Luigi Gabriele, che ci ha subito invitato a coinvolgere anche gli altri attori del processo.

All’ultimo convegno FederSicurezza, i Sindacati presenti hanno dichiarato che l’unico modo per imporsi rispetto al Ministero del Lavoro e alle altre autorità tutorie è buttare sul piatto i veri numeri delle rappresentanze del settore. I sindacati lo stanno già facendo: le Associazioni datoriali cosa aspettano?

Nessun problema da parte nostra, anche in considerazione del fatto che la nostra appartenenza a Confcommercio già determina la statisticazione delle nostre presenze sul territorio che rilevano ai fini della rappresentatività della Confederazione nel sistema camerale.
Inoltre, da sempre, il Ministero del Lavoro annualmente fa, sia pure in regime di autocertificazione, la raccolta dei dati statistici di presenza nel comparto, e anche tramite Istat si può rilevare, in questo caso nel complesso, il numero degli addetti al settore.

In un dialogo diretto con la politica, quali sarebbero le istanze di FederSicurezza?

Uno: chiarezza in merito al campo di intervento delle guardie armate, anche mediante una corretta e chiara identificazione dei siti sensibili.
Due: decisa defiscalizzazione degli oneri di conseguimento del “bene primario” sicurezza che, anche in considerazione dei tempi che corrono, non può certo, ahimè, come invece avviene, essere di minor valore, ad esempio, dell’editoria digitale.
Tre: cominci lo Stato, nell’ambito dell’affidamento dei servizi che in proprio chiede al comparto, a fare chiarezza con sé stesso, evitando, in sede di gare d’appalto, di porre in essere macroscopiche violazioni nell’applicazione dei parametri economici previsti per la gestione dei servizi di sicurezza, specialmente armata.

E’ chiaro il riferimento ai bandi di gara emanati dalla PA spesso in contrasto con le normative sugli appalti e le norme speciali del settore…il tema si allaccia alla questione degli esuberi e della sequenza di scioperi dell’ultimo mese, che per certi versi vede viaggiare sullo stesso binario lavoratori e datori di lavoro… si è risolta la lotta di classe?

Non vedo una “lotta di classe”, e non so se dispiacermene o esserne contento.
Vedo però, con favore, un “risveglio delle coscienze” che forse potrà portare a un diverso approccio ai problemi del settore, più ragionevole, più razionale, più attento all’evoluzione o comunque modificazione intervenuta nel frattempo.

Veniamo allora al tema del contratto: si è parlato di filiera, di security e safety integrate sotto un unico cappello, di implementazione del welfare. Ma cosa si intende in concreto?

Si intende superare, almeno per quanto ci riguarda, il desueto termine di “vigilanza”, codificare l’esistenza di un comparto della sicurezza, individuare correttamente chi e come ne fa parte creando un contenitore normativo che, nella salvaguardia delle specialità proceda ad una razionalizzazione dell’esistente assegnando correttamente a ciascuno il suo ruolo e, di conseguenza, il reale valore, anche economico, del servizio stesso. Security and safety è una bipartizione, pur se di derivazione anglosassone, credo sufficientemente chiara.
Per quanto attiene l’implementazione del welfare, non credo sfugga a nessuno che, continuando la stagnazione di mercato, appare difficile individuare forme diverse, comunque concrete, di implementazione del potere d’acquisto delle retribuzioni degli addetti.
E’ comunque quanto sta accadendo anche in altri comparti e nei Ccnl che li disciplinano.

Secondo l’ultimo Report FederSicurezza, un’impresa su cinque è stata costituita negli ultimi due anni, tre imprese su quattro esistono da meno di 15 anni e in generale più le imprese sono giovani e più sono micro dimensionate: questa “giovinezza del settore” va interpretata come un buon segno oppure no?

Non so se possa essere un “buon segno”. L’imprenditoria che nasce è un buon segnale…si tratta di capire se nasce perché si è creduto che la “liberalizzazione” del mercato abbia creato possibilità di facile accesso allo stesso o, come meglio sarebbe, se, comprendendo i rischi connessi con l’operare in questo comparto, si voglia davvero fare impresa. La microdimensione non è un valore aggiunto.

Sempre nel Report FederSicurezza si parla di un mercato da 1326 imprese, delle quali solo 376 risultano essere certificati. …la certificazione si è dunque rivelato un progetto fallimentare?

Credo sia la risposta “genetica” di un mondo dormiente dal 1930 agli inizi degli anni 2000, oggi frastornato da un succedersi pressoché continuo di modificazioni normative, gli stessi ideatori delle quali hanno difficoltà a tenere il passo con le ineludibili conseguenze delle stesse modificazioni introdotte.

A chi mi suggerirebbe di rivolgere le stesse domande che oggi ho posto a lei?

All’universo mondo che, a volte, “pretende” di rappresentare il comparto.

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