Autodifesa e vigilanza privata: tra la legge e la necessità di difesa

04 Dic 2019

di Leandro Abeille

Leandro Abeille (Sociologo della sicurezza, formatore dei formatori certificato) e Paolo Catracchia (Esperto di sicurezza e difesa personale, formatore) ci hanno inviato un interessante studio, suddiviso in più “puntate”, su un tema tanto attuale quanto complesso in termini interpretativi: se, come, quando e quanto possono difendersi le guardie giurate che vengono aggredite in servizio. La buona notizia è che, al contrario di quanto spesso si pensa, il potere di difesa non è così circoscritto: basta conoscerne i limiti.Gli obiettivi dell’autodifesa non possono essere che due: il primo è portare a casa la pelle ed il secondo dormire sonni tranquilli. Vuol dire che la vita è un bene a cui non si può rinunciare ed è quello che si deve massimamente difendere in caso di aggressione ma è altresì vero che, nel difendere la propria vita, non si possono travalicare le norme giuridiche che ci permettono di farlo. Al contrario di quanto si pensi comunemente, la legge, in caso di un’aggressione ingiusta, ci dà un ampio potere di difesa e solo chi non la conosce è convinto del contrario.

Quando si parla di autodifesa per le guardie particolari giurate, si entra nel grande mondo delle tecniche improbabili. Centinaia di maestri di varie arti marziali che pretendono di insegnare il “modo definitivo” per difendersi da ogni pericolo. Sono così pressappochisti che il disarmo di un coltello o di una pistola sembrano un gioco da ragazzi, sembra quasi che convenga andare ad uno scontro disarmati, data la facilità nel catturare l’arma dell’aggressore. Guadagnano sulle spalle di ignari, speranzosi di trovare un modo per respingere le violenze di un aggressore. Il più delle volte questi “maestri” non hanno idea della legislazione italiana, le conoscenze base del lavoro delle guardie giurate e soprattutto di casi reali, in cui le guardie giurate sono state vittime di aggressione. Intanto insegnano.

La professionalità nell’autodifesa è data dalla conoscenza delle norme e dall’abilità nell’utilizzo delle tecniche. Per questo è uno spreco di soldi affidarsi a corsi estemporanei di autodifesa che durano 2-3 giorni o a corsi che non prevedono il contatto fisico ma solo simulazioni di interventi come, ad esempio, il tanto commercializzato Krav Maga che appare sempre di più un’operazione di marketing piuttosto che un’arte marziale seria. Quando lo youtuber “Cicalone” prende in giro i “krav maghi”, lo fa con cognizione. La difesa dalle aggressioni nasce dal ragionamento, dalla testa, non dalla forza bruta.

Possono intervenire?
Le guardie giurate non hanno “doveri d’intervento” su qualsiasi reato, hanno semplicemente il dovere di denunciare (e non intervenire) i reati procedibili d’ufficio, di cui vengono a conoscenza durante il servizio o a causa di esso. Rispetto a quello che vigilano, invece, hanno un dovere d’intervenire in prima persona.
Questo “dovere di intervento” sui beni mobili e immobili che le guardie giurate stanno vigilando e custodendo è desunto dagli articoli 133 e 134 del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, il quale prescrive che esse “vigilino e custodiscano”.

Art. 133 TULPS – Gli enti pubblici, gli altri enti collettivi e i privati possono destinare guardie particolari alla vigilanza o custodia delle loro proprietà mobiliari od immobiliari. Possono anche, con l’autorizzazione del Prefetto, associarsi per la nomina di tali guardie da destinare alla vigilanza o custodia in Comune delle proprietà stesse.
Art. 134 TULPS – Senza licenza del Prefetto è vietato ad enti o privati di prestare opere di vigilanza o custodia di proprietà mobiliari od immobiliari.

Se si prendono per buoni i significati riportati in un qualsiasi vocabolario, si assume che “vigilare” sia sinonimo di “sorvegliare” e vuol dire: “seguire con attenzione e controllare ciò che succede per poter intervenire rapidamente ed efficacemente se necessario”. Custodire, invece, vuol dire: “avere cura vigilare in maniera responsabile, sorvegliare un luogo, una persona, una cosa, preservandoli dai pericoli”.
Le guardie giurate, perciò (al contrario di tutti gli altri operatori di sicurezza, escluse le forze di polizia), hanno il diritto/dovere di bloccare un ladro, di non far accedere persone indesiderate all’interno di un luogo e anche di fare uscire persone che non hanno alcun diritto di essere presenti all’interno di un edificio, sempre che lo possano fare in sicurezza. Per “intervento in sicurezza” s’intende quel momento operativo che, con ragionevole certezza, può essere effettuato senza mettere in grave pericolo l’operatore (e chi lo aiuta) e la persona su cui si interviene.
A questo punto è importante intendersi, sul “quando” le guardie giurate possono fare tutto questo.

Quando possono intervenire?
La conoscenza combinata dei diritti di un qualsiasi cittadino e dei diritti di un qualsiasi proprietario, unitamente alla conoscenza delle cause di giustificazione del reato e, più nello specifico, di quelle di cui agli articoli 51, 52 e 54 del codice penale, danno la possibilità alle guardie giurate di intervenire efficacemente e in maniera giuridicamente accettabile, senza dover ricorrere alla chiamata delle forze di polizia, che sono già oberate d’impegni e non dovrebbero mai intervenire, quando l’operatore di sicurezza può fare tranquillamente da solo o con il supporto del suo istituto.

51. Esercizio di un diritto o adempimento di un dovere. L’esercizio di un diritto o l’adempimento di un dovere imposto da una norma giuridica o da un ordine legittimo della pubblica autorità, esclude la punibilità.
52. Difesa legittima. Non è punibile chi ha commesso il fatto, per esservi stato costretto dalla necessità di difendere un diritto proprio od altrui contro il pericolo attuale di una offesa ingiusta, sempre che la difesa sia proporzionata all’offesa. Nei casi previsti dall’articolo 614, primo e secondo comma, sussiste il rapporto di proporzione di cui al primo comma del presente articolo se taluno legittimamente presente in uno dei luoghi ivi indicati usa un’arma legittimamente detenuta o altro mezzo idoneo al fine di difendere: a) la propria o la altrui incolumità; b) i beni propri o altrui, quando non vi è desistenza e vi è pericolo d’aggressione. La disposizione di cui al secondo comma si applica anche nel caso in cui il fatto sia avvenuto all’interno di ogni altro luogo ove venga esercitata un’attività commerciale, professionale o imprenditoriale.
54. Stato di necessità. Non è punibile chi ha commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità di salvare sé od altri dal pericolo attuale di un danno grave alla persona, pericolo da lui non volontariamente causato, né altrimenti evitabile, sempre che il fatto sia proporzionato al pericolo. Questa disposizione non si applica a chi ha un particolare dovere giuridico di esporsi al pericolo. La disposizione della prima parte di questo articolo si applica anche se lo stato di necessità è determinato dall’altrui minaccia; ma, in tal caso, del fatto commesso dalla persona minacciata risponde chi l’ha costretta a commetterlo.

Prendiamo l’esempio di una persona che si trattiene in un luogo aperto al pubblico che sta per chiudere e dunque termina la sua funzione di apertura. Esiste sicuramente il diritto del cittadino di accedere in un luogo aperto al pubblico, quando si uniforma alle regole in esso stabilite, ma è altresì diritto del gestore quello di poter chiudere o terminare il servizio, quando è prescritto farlo. Ad esempio, è diritto del cittadino accedere su un autobus di trasporto urbano dopo aver acquistato un biglietto, rispettando il codice dei viaggiatori, ma non quello di viaggiare quando il mezzo di trasporto è fuori servizio. Dall’altra parte non è possibile vietare l’accesso ad un cittadino che, pur non rispettando le regole fissate dal punto vendita (ad esempio il divieto di non portare buste che contengono precedenti acquisti), deve acquistare generi di prima necessità e li paga; mentre è possibile applicare un “dress code” che permette di impedire l’accesso in una discoteca. La conoscenza di queste regole è fondamentale perché, in alcuni casi, si può allontanare un cittadino da un luogo essendo giustificati, ed in altri no; in alcuni casi si può vietare l’accesso ed in altri no.

In caso di un legittimo divieto di accesso, la guardia giurata può frapporsi tra l’entrata e del cittadino e di impedire a quest’ultimo di accedere: è tipico l’esempio delle aree sterili dell’Aeroporto, in cui, senza la carta d’imbarco e senza aver subito un controllo di sicurezza, non si può entrare, così come previsto dalle varie regolamentazioni Europee e dal Piano Nazionale di Sicurezza Aerea. Il comportamento della Guardia giurata nel vietare l’accesso è giustificato dall’adempimento di un dovere di cui all’articolo 51 codice penale.
E altresì vero che la stessa causa di giustificazione del reato può includere anche altri divieti di accesso in alcuni luoghi, ove il proprietario, ad esempio, subordina la concessione all’entrata al rispetto di un suo regolamento interno. Regolamento interno che è da rispettare, se non in contrasto con norme di livello superiore. L’azienda che vende preziosi, ad esempio, potrà subordinare l’accesso a persone che non portino zaini o borse; la stessa regola non potrà, invece, essere applicata da un supermercato che vende beni di prima necessità o da una farmacia che vende medicinali salvavita. Dall’altra parte e grazie alla causa di giustificazione di cui all’art. 51, si potrà essere tranquillamente allontanare un cittadino che ha scelto quale giaciglio i sedili di un autobus di linea fermo in un deposito, ma non si potrà allontanare lo stesso cittadino che dorme fuori dalla stazione.

Se nel divieto di accesso il modus operandi è assiomatico, basta la frapposizione tra il cittadino inottemperante e l’entrata: la semplice presenza fisica della Guardia Giurata serve come ostacolo all’accesso. Chi provasse a minacciare la guardia giurata, o peggio ancora, usargli violenza, sostanzierebbe in pieno il reato di cui all’articolo 336 codice penale, reato procedibile d’ufficio. In questo caso la guardia giurata dovrà solo presentare denuncia (mai querela) ai sensi dell’articolo 331 codice di procedura penale, allegando il referto medico.

Art 336 C.P – Violenza o minaccia a un pubblico ufficiale. Chiunque usa violenza o minaccia a un pubblico ufficiale o ad un incaricato di un pubblico servizio (come le GPG n.d.r.), per costringerlo a fare un atto contrario ai propri doveri, o ad omettere un atto dell’ufficio o del servizio, è punito con la reclusione da sei mesi a cinque anni. La pena è della reclusione fino a tre anni, se il fatto è commesso per costringere alcuna delle persone anzidette a compiere un atto del proprio ufficio o servizio, o per influire, comunque, su di essa.
Art 331 c.p.p. – … i pubblici ufficiali e gli incaricati di un pubblico servizio che, nell’esercizio o a causa delle loro funzioni o del loro servizio, hanno notizia di un reato perseguibile di ufficio, devono farne denuncia per iscritto, anche quando non sia individuata la persona alla quale il reato è attribuito. La denuncia e’ presentata o trasmessa senza ritardo al pubblico ministero o a un ufficiale di polizia giudiziaria.

Per allontanare una persona che non ha diritto a permanere nel luogo vigilato, la guardia giurata dovrà, in primis, tentare di persuadere il cittadino ad uscire. E’ solo quando questa attività risulterà assolutamente impossibile, potrà “sollevarlo di peso” e metterlo alla porta. Sollevarlo di peso presuppone un trasporto del cittadino, allo stesso modo di come si trasporta un infermo o una persona a mobilità ridotta, senza alcun ricorso alla violenza o eventuali tecniche di autodifesa. Nel caso in cui la guardia giurata fosse minacciata o aggredita, si sostanzierebbe il reato di cui all’articolo 337 codice penale.

Art. 337 C.P. – Resistenza a un pubblico ufficiale. Chiunque usa violenza o minaccia per opporsi a un pubblico ufficiale o ad un incaricato di un pubblico servizio (come le GPG n.d.r.), mentre compie un atto di ufficio o di servizio, o a coloro che, richiesti, gli prestano assistenza, è punito con la reclusione da sei mesi a cinque anni.

La leggenda metropolitana che vorrebbe che vietata la pratica di “mettere le mani addosso” a qualcuno è una delle più comuni nel mondo della vigilanza privata. E’ appunto una leggenda. Sono vietate le percosse, è vietato provocare lesioni, ma non è vietato trasportare qualcuno al di fuori di un luogo in cui non può stare (sono esclusi di conseguenza tutti i luoghi pubblici).  Essendo un intervento particolarmente complesso, si consiglia di video-riprenderlo con lo smartphone, per poi poterne riprodurre la correttezza operativa. Anche questa attività non è vietata da nessuna legge, se non si posta su Youtube o sui social network ma lo si tiene per mostrarlo all’Autorità di Polizia in caso di bisogno.

E non è finita qui: a breve su www.vigilanzaprivataonline.com la seconda parte dell’articolo!

 

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