Ed in piena guerra giudiziaria, una sentenza del TAR Lombardia legittima il CCNL per i dipendenti da Istituti e Imprese di Vigilanza Privata e Servizi Fiduciari (prima del rinnovo del 2023 che ne ha modificato anche il nome in Vigilanza Privata e Servizi di Sicurezza) quale fonte di riferimento per definire l’idoneità del salario. Non lo sarebbero né i giudici né altre autorità. I motivi? E’ il contratto specifico del settore sicurezza, è siglato dai sindacati maggiormente rappresentativi ed è il riferimento del Ministero del Lavoro nella definizione delle tabelle sul costo orario. Sic.
Riprendiamo i passi più significativi della sentenza:
(…) secondo la legge, il trattamento complessivo minimo da garantire al socio-lavoratore è quello previsto dal C.C.N.L. comparativamente più rappresentativo del settore, che funge da parametro esterno di commisurazione della proporzionalità e della sufficienza del trattamento economico da corrispondere al socio lavoratore, ai sensi dell’art. 36 Cost. (cfr. Corte costituzionale, sentenza n. 51 del 2015). In tal modo si impedisce l’applicazione al socio-lavoratore di una Cooperativa di un Contratto collettivo c.d. “pirata” (ovvero sottoscritto da organizzazioni sindacali minoritarie e quindi poco rappresentative) o l’applicazione di un Contratto collettivo non pertinente rispetto al settore di attività in cui opera.
(…) la Cooperativa ricorrente svolge attività relative a servizi di “guardia non armata, portierato, custodia, reception, revisione e manutenzione delle relative attrezzature” (all. 7 al ricorso) e applica il C.C.N.L. per i dipendenti da Istituti e Imprese di Vigilanza Privata e Servizi Fiduciari, che ha a oggetto l’attività di vigilanza privata e i servizi fiduciari. Tale C.C.N.L. è stato stipulato in data 8 aprile 2013, tra gli altri, anche dalle associazioni sindacali FILCAMS-C.G.I.L. e FISASCAT-C.I.S.L. (e ratificato dalla U.G.L.) e dalle Associazioni datoriali A.N.I.V.P., ASSVIGILANZA e UNIV (all. 8 al ricorso). Certamente il predetto Contratto collettivo appare appropriato rispetto all’attività svolta dalla Cooperativa ricorrente, visto il settore in cui la stessa è attiva; il differente Contratto collettivo per l’area Multiservizi si riferisce alle imprese che operano anche nel settore della pulizia, della logistica e dei servizi integrati di global service (all. 17 al ricorso), cui la ricorrente risulta estranea.
(…) Oltretutto il Contratto collettivo applicato da quest’ultima ai propri soci-lavoratori – ovvero quello afferente alla Vigilanza privata e servizi fiduciari – è stato sottoscritto dai sindacati di settore maggiormente rappresentativi, ossia C.G.I.L. e C.I.S.L. (oltre che ratificato dalla U.G.L.), unitamente alle Associazioni datoriali maggiormente rappresentative (A.N.I.V.P., ASSVIGILANZA e UNIV). L’avvenuta sottoscrizione di un Contratto collettivo da parte delle associazioni sindacali (e datoriali) maggiormente rappresentative rende siffatto accordo idoneo a fungere da parametro per l’individuazione della soglia della retribuzione da considerare idonea e proporzionata ai sensi dell’art. 36 Cost. e serve a scongiurare il rischio dell’applicazione dei “contratti cc.dd. pirata, sottoscritti da associazioni sindacali minoritarie o, comechessia, non sufficientemente rappresentative delle parti sociali, con l’obiettivo di costituire una surrettizia ed elusiva alternativa ai più impegnativi e garantistici (in punto di retribuzioni minime, di numero di ferie e/o permessi et similia) contratti nazionali cc.dd. tradizionali” (Consiglio di Stato, V, 19 giugno 2023, n. 6008).
(…) L’idoneità del richiamato Contratto collettivo “Vigilanza e servizi fiduciari” è rilevabile anche dalla circostanza che è stato preso a riferimento dal Ministero del Lavoro nella predisposizione delle tabelle relative alla determinazione del costo orario delle prestazioni da applicare in sede di verifica della congruità delle offerte presentate in sede di partecipazione agli appalti pubblici (art. 97 del D. Lgs. n. 50 del 2016, ora art. 110 del D. Lgs. n. 32 del 2023). Di conseguenza, il livello retributivo individuato in tale Contratto collettivo è stato assunto, anche in sede ministeriale, quale parametro di riferimento per le prestazioni offerte dalle imprese che ottengono l’aggiudicazione degli appalti pubblici (all. 18 al ricorso).
(…) Del resto, il C.C.N.L. da applicare ai propri dipendenti rientra nella scelta discrezionale del datore di lavoro e, salvo il caso di Contratti collettivi contenenti previsioni contrarie alla legge oppure riferibili a categorie del tutto disomogenee con quelle in cui opera l’impresa, tale determinazione non è sindacabile nel merito in sede giurisdizionale.
(…) Nemmeno può prendersi a riferimento, da parte di qualsivoglia autorità di controllo, un salario individuato con parametri differenti rispetto a quanto stabilito in sede normativa – in assenza di un salario minimo previsto (e imposto) dalla legge – visto che, oltre alla violazione del disposto di cui all’art. 7, comma 4, del decreto legge n. 248 del 2007, convertito in legge n. 31 del 2008, che individua le modalità di commisurazione del trattamento economico proporzionato e sufficiente, si lascerebbe all’Amministrazione procedente (in sede ispettiva) o al giudice (in sede contenziosa) la scelta in ordine alla giusta retribuzione, con inevitabili conseguenze in termini di disparità di trattamento tra i lavoratori e le imprese, stante il carattere parcellizzato e soggettivo di tali interventi, e con le ulteriori conseguenze, difficilmente preventivabili nel loro impatto, correlate a interventi certamente avulsi da un approccio di natura complessiva e sistemica rispetto a tale delicato settore, sia per i risvolti sociali che per quelli economici e produttivi.