Dopo innumerevoli violazioni – gravi e gravissime – messe in atto da un Istituto di Vigilanza Privata e segnalazioni piovute da più parti, il Prefetto competente ha incamerato il 30% della cauzione a titolo di sanzione . Parliamo di una bella cifretta (117.000,00) ma non è l’entità della somma a fare notizia, bensì il fatto che una volta tanto l’autorità di controllo abbia fatto il suo mestiere e che l’autorità giudiziaria non abbia ostacolato il processo, respingendo al TAR il ricorso fatto dallo stesso Istituto contro la sanzione elevata dal Prefetto. Una volta tanto insomma tutto ha funzionato, anche se la premessa perchè tutto potesse funzionare lato controlli e sanzioni, è stato che tutto andasse male lato impresa e lavoratori. Speriamo che non si debba più arrivare a tanto. A voi le riflessioni del nostro anonimo Bastiancontrario, che stavolta è piuttosto mansueto.
Quando la catena (dei controlli) funziona!
Anche al mio unico lettore sarà capitato – poiché non legge, per sua fortuna, solo queste righe – di leggere la sentenza (viaggia sulla rete alla velocità della luce, perché siamo tutti pronti a vedere la pagliuzza nell’occhio dell’altro!) con la quale è stato respinto il ricorso di un istituto di vigilanza contro un provvedimento di incameramento parziale della cauzione. Bene, la cosa offre vari spunti di riflessione.
– Il primo punto è che il provvedimento sanzionatorio arriva dopo che diversi uffici hanno rilevato violazioni alle norme. Quindi questo significa un’attività di controllo coordinata ed efficace.
– Secondo punto degno di nota è che il Prefetto ha adottato il provvedimento all’esito di più segnalazioni, a dimostrare che l’autorità ha valutato varie situazioni e diverse violazioni, non intervenendo su di un singolo episodio, ma su un quadro che dimostrava una certa abitudine nei comportamenti.
– Terzo elemento, di estrema importanza, è che si è rilevato come sia stato violato il dovere di organizzare un servizio adeguato e coerente con le norme e le prescrizioni di sicurezza e come non si possa sempre ribaltare tutto sulla colpa individuale delle guardie, responsabili di non adempiere correttamente alle indicazioni del datore di lavoro (cosa che, va detto, pure accade con frequenza), perché su questo è preminente l’onere di vigilanza e controllo proprio di ogni datore di lavoro, che diventa più marcato quando si verte in attività delicate come quella di vigilanza privata.
– Vi è, poi, un quarto punto, direi sotteso, ma che trovo estremamente significativo: la natura delle violazioni. Ancora oggi, quindi, a più di dieci anni dalla riforma della sicurezza privata, dall’inaugurazione della stagione della qualità, della professionalità, della rivalutazione dei servizi e delle aziende, parliamo di servizi svolti in difetto delle più basiche dotazioni di sicurezza!
A questo punto la vera domanda è: perché ancora si verificano situazioni che riportano alla memoria l’epoca della vigilanza “a conduzione familiare”, all’insegna del risparmio e della poca attenzione?
La risposta è che forse siamo cresciuti all’apparenza, ma dentro fatichiamo a liberarci dell’ “incultura della sicurezza” (questa mi è venuta adesso).
Fare profitto – doveroso – non fornendo il servizio migliore, più qualificato e qualificante, ma abbattendo le tariffe in danno della qualità dei servizi resi ai clienti, i quali, sia chiaro, sono egualmente responsabili allorché pensano che si possano pretendere tariffe sempre più basse o che si possa mettere un portiere a garantire, magari di notte, “la prevenzione di danneggiamenti, sabotaggio, furti e deturpazioni, il rilievo di fatti compromettenti la sicurezza, l’intervento in caso di reato” (il corsivo non è casuale, sono frasi tratte da un bando di gara).
La considerazione finale è che forse siamo ancora lontani da quei principi di autoqualificazione e autocontrollo che sono stati bandiera della riforma del 2008. Serve ancora la frusta o meglio la catena (dei controlli), sperando che funzioni.