Ancora una volta si accendono i riflettori sulla vigilanza privata per un fatto di sangue. E mentre il giusto rispetto cala sulle persone colpite dalla tragedia ad Ardea, a noi spetta chiederci se si poteva evitare. Del resto, siamo tutti maestri nell’esercizio dell’”avremmo potuto fare”. E spesso (dalla cronaca alla politica, ai settori economici) la risposta è “serve una legge” (oppure “è sbagliato il sistema” – che è uguale perché per cambiare un sistema in uno stato di diritto occorre cambiare le leggi). Peccato che, aumentando le leggi, aumentino solo gli oneri per le imprese e quindi per i lavoratori. Ma soprattutto si rendono nei fatti inapplicabili le leggi stesse, per la consueta mancanza di controlli. In questo paese è assodato che le criticità non si risolvono creando nuove norme o inasprendo le pene, ma rendendo efficiente il meccanismo di controllo.
Chi scrive (Andrea Ambrosino, Presidente di Vale srl, leader nella formazione e consulenza per il settore vigilanza privata e autore di www.vigilanzaprivataonline.com, ndR) ha la presunzione di conoscere il sistema della vigilanza privata in Italia e le normative che lo regolano. Norme che, giorno dopo giorno, gli istituti (nel loro piccolo o nel loro macro) cercano di applicare tentando di conciliare la norma con il quotidiano. Da quasi vent’anni il settore è attraversato da riforme legislative, norme UNI e circolari che hanno radicalmente trasformato quella che fino a pochi anni fa poteva essere la piccola azienda familiare del territorio in un’impresa moderna a vocazione nazionale.
Ci sono stati decreti ministeriali, circolari del capo della polizia, norme UNI, innovazioni tecnologiche e iniziative dei singoli istituti o dei singoli prefetti per far evolvere il sistema vigilanza. In un lasso di tempo così piccolo sono stati tanti i passaggi che gli istituti di vigilanza hanno dovuto fare per restare sul mercato e adeguarsi alla legge. E mentre gli istituti lottavano quotidianamente per rinnovarsi, dall’altra facevano i conti con un mercato in continua contrazione, con il fenomeno crescente dell’abusivismo, con le gare al costante ribasso e con un contratto collettivo scaduto da sei anni (quasi un record).
Senza fare l’avvocato della vigilanza privata, in un quadro dove neanche la pandemia ha bloccato l’entrata in vigore della nuova UNI 50518:2020 (che per qualcuno significherà investire nuove risorse per rimettere mano a infrastrutture e tecnologie adottate non più di cinque o sei anni fa), ritengo che, più che inserire nuove regole, sia il caso di concentrarsi sul controllo e sulla verifica di quelle esistenti. A partire da quella famosa circolare sull’abusivismo che è rimasta per troppi una bella dichiarazione di intenti.
Per non parlare di azioni che richiederebbero una spinta decisa da parte di tutti, come il rinnovo del contratto di lavoro del settore vigilanza oramai scaduto dal 2015, che veramente potrebbe ridare dignità a chi giorno per giorno mette in gioco la propria vita per gli altri.